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LETTERE DA IWO JIMA
(LETTERS FROM IWO JIMA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 giugno 2007
 
di Clint Eastwood, con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase, Shido Nakamura, Hiroshi Watanabe (Stati Uniti, 2007)
 
LETTERE DA IWO JIMA, lo sappiamo, è l'altra faccia di FLAGS OF OUR FATHERS, passato alcuni mesi fa sui nostri schermi: la battaglia per la conquista dell'isolotto caposaldo di Iwo Jima, dalla parte dei giapponesi. Dalla parte di quelle 21000 vittime (perchè la contabilità della morte sia completa va aggiunto che da parte americana furono 7000), delle quali furono ritrovate soltanto la metà. Dalla parte del generale Tadamichi Kuribayashi, che gli stessi americani continuano a considerare un genio militare, capace di far durare un mese una resistenza che era stata stimata in cinque giorni.

Ma LETTERE DA IWO JIMA non è un film di guerra, non è "soltanto" un film di guerra. O, meglio, è un film di guerra soltanto nella sua prima parte: con i giapponesi che cercano di mettere in atto le strategie consentite dalle loro forze ormai soverchiate in numero e qualità tecnica, con la minaccia che incombe da cielo e mare, i primi scontri, dai quali risulterà immediatamente come la sorte della battaglia sia segnata. Ma da quel momento, sospinta dalla progressione semplice di una sceneggiatura che si svolge quasi in tempo reale (scritta da un'esordiente giapponese, Iris Yamashita; mentre quella del film gemello, tutta costruita al contrario su rinvii temporali, era di Paul Haggis), LETTERE DA IWO JIMA diventa un altro film. Infinitamente più sottile e memorabile, un capolavoro umanista; capitolo ulteriore dello straordinario percorso di un regista 76nne, che da bullo poliziotto dei primi film è diventato uno degli osservatori più diretti dei malesseri dell'umanità.

Rinchiusi come topi nelle gallerie che si erano scavati nella montagna per sfuggire al diluvio di bombe, inseguiti, letteralmente coabitati da una cinepresa che ne condivide la progressiva, claustrofobica emarginazione, in una progressiva dissolvenza dei colori della vita, in una parallela accentuazione dei contrasti mortali, i protagonisti perdono progressivamente la loro identità. Hanno consumato la loro stessa consistenza materica, che ostinatamente li manteneva in vita, praticamente in osmosi con la devastata natura circostante: ed ora scarnificano il loro capitale umano, in ombre e fantasmi, nell'intreccio disperato e vieppiù metafisico di un quadro che perde ogni contatto con la logica. Ammesso che di logica si trattasse: che non fosse quella assurda, prima ancora che crudele, insensata, prima ancora che ripugnante, denunciata in ogni immagine del film. Da fisico che era a spirituale, da concreto a metafisico, LETTERE DA IWO JIMA si fa cosi riflessione spietata sull'esito di ogni di guerra; meditazione lucida e accorata che sarebbe riduttivo definire di antimilatarismo.


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